Favalli Irene
Il piano di Debi, negli '80, era andare in India con un amico per coltivare coca sui monti. Non è mai successo, ma me lo ha raccontato. Sulla tela, una con-fusione della sua immagine mentale e della mia interpretazione di questa. La visione affiora, come l'utopia, proporzionalmente al nostro desiderio.
Attualmente lavoro investigando ecosistemi di segni e strategie di colore. Preparo i fondi su materiale di recupero e nutro le mie visioni di paesaggi inaspettati. In particolare, mi interessa il selvatico (attenzione alla sfumatura semantica tra “selvatico” e “selvaggio”), per la sua complessità decifrabile, per essere un'area permeabile tra civiltà e natura e perché relegato ai margini, quindi vivo e dinamico: l'incolto è perfezione sublime nel caos. Chiamano pareidolía questo fenomeno di intuizione delle strutture nascoste in un universo apparentemente confuso, sia esso quello fisico oppure quello di un dipinto. Io credo a quest’ordine sotteso, vedo una sintassi organica in cui viviamo immersi e gioco a svelarla con un’indagine, quella artistica, genuina ed onesta. Mantenere la mobilità dell’immaginario in tal modo è anche un esercizio di resistenza, perché è «quell’inutile che salva la mente quando tutto è perduto» (Meschiari).
Olio
Tela
65 x 50 cm