Filippo Rizzonelli
53,2x72,9
Tela di cotone, legno, gesso, vernice acrilica, fungicida al verderame, colori ad olio, pennarelli, gessi, colla di coniglio e pigmenti.
Tecnica mista su tela
òzio s. m. [dal lat. otium]. – 1. a. In genere, astensione dall’attività, dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o anche abitualmente, per indole pigra o indolente. b. Con senso attenuato e più obiettivo, inattività, inoperosità, anche non voluta (per mancanza di un lavoro, o perché costretti da altre cause). 2. Con sign. più vicini a quelli che il termine aveva in latino, dove otium era il tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici (cioè dai negotia), che poteva esser dedicato alle cure della casa, del podere, oppure agli studî (donde la parola passò a indicare gli studî stessi, l’attività letteraria): a. Periodo di quiete, di riposo, più o meno prolungato e gradito, che interrompe le abituali fatiche. b. fig., poet. Con riferimento alla natura, quiete, riposo. Questo dipinto è il risultato d’anni di lavoro inviluppati in loro stessi, intuizioni distillate una goccia alla volta, engrammi stratificati a tono su tono su di un supporto mobile. La sedimentazione di diversi interessi e di processi pregni d’inintenzionalità, liberamente e giocosamente tra loro assemblati e associati, è la cifra per cui è possibile finalmente accedere ad un paesaggio sentimentale e interiore dilatato nel tempo, precariamente e contestualmente presentato e proposto nello spazio di una cosa. L’immagine di primo acchito appare all’occhio coesa, ma nei dettagli ammicca e segnala tracce, lasciate da dubbi e scoperte lungo il cammino. Ho iniziato a dipingere L’ermetica agenza celata nell’ozio nel 2017, anche se – all’epoca – il dipinto sicuramente non ancora si chiamava così. Risolto in ultima battuta a luglio 2021, si è di lì a poco rivelato profetico: a inizio agosto mi sono rotto una caviglia saltando da un ponte in Trentino, rimanendo quindi bloccato a casa dei miei genitori per oltre due mesi, inutile e avvolto nel gesso. L’ozio è propedeutico alla sapienza, e si pone quindi su di un piano diverso rispetto a quello proprio dell’utilità delle idee: è immanente al reale e – se perseguito con disciplina – esonda e trasporta spesso seco persone, cose e affetti nelle oniriche radure incolte dell’imaginale. Hermes è il dio dei ladri, oltreché dei mercanti, ed a chiunque abbia buon orecchio sa quindi insegnare i segreti delle cose e delle loro agenze. Inutile dire che la pittura è figlia dell’ozio, e farmaco all’indolenza.
Attraverso un’idea di pittura espansa mi è possibile abitare l’enorme ed equivoco compromesso rappresentato dalla realtà, diluendo desideri, ambizioni e traumi tramite una prassi di (auto)coscienza critica, mediata con le possibilità trasformative donate e offerte dalla e alla materia. L’habitat contemporaneo, con le proprie implicite regole d’interdipendenza e adattamento forzato, è il contesto in cui e con cui il mio ricercare ubik incedendo incappa in intuizioni formali ed informali di diversa natura, inevitabilmente legate al nodo della sopravvivenza. Eppure, è proprio nelle pieghe recondite e nelle radici oscure che permettono l’inciampo – negli splendidi errori – che si cela l’intima profondità e bellezza d’un ricordo ricordato: mantice d’affetto capace di scaldarci e rincuorarci lungo il lunghissimo cammino. Dipingere significa allora ricercare una salvezza, ponendosi coscientemente in un processo di metamorfosi dove soggetto e oggetto tendono a confondersi, fino a farsi paesaggio di e per un’unica ma non univoca incoscienza, che sovrasta e determina le regole del mondo. Siamo gocce d’increato, sostanza imperfetta, in alambicco universale.