Biducci Sara
Sempre più i nostri corpi sono attirati al terreno, dalla forza di gravità, dai desideri materiali. Si è costretti ad avere costantemente il controllo di ciò che ci circonda e come un grande orologio la vita intrappola il nostro tempo. “Bisogna essere realisti”, dicono, “non fare il sognatore”. Si sogna di notte, quando rimane un po' di spazio per la fantasia, quando non si può far altro che fantasticare, quando tutto è buio e la mente inizia a reinventarsi, a creare immagini e forme. Ebbene, in quel lasso di tempo che percepiamo come un paio di minuti, ci si apre una finestra su un altro mondo; un mondo di cose e pensieri illogici. Sia da spettatori che da attanti, la maggior parte delle volte realizziamo di star sognando (“non funziona così nella realtà”). Nonostante questo, accade che si rimanga aggrappati ai sogni, perché si trova chi si vorrebbe essere; un’identità utopica, che non potrebbe mai esistere. Dunque, se la vita è così “reale” e il sogno così “finto”, come possono le due dimensioni coesistere nella creazione di una quiete esistenziale? Esiste una linea sottile, al di sopra della superficie, in cui tutto si tiene insieme: sogno e realtà. È la coesistenza dell’immaginazione e della creazione, del pensiero e dell’azione; la dimensione della custodia delle promesse. Non è uno spazio fisicamente osservabile e rintracciabile geograficamente. E non è univoco. Ognuno ha il suo spazio, ma pur sempre aperto e condivisibile. Immaginare la coesistenza del reale e del sognato è il concetto della mia fotografia. Con uno sguardo al cielo, senza base fissa sul terreno tranne che per vari appigli a spighe di avena selvatica, il pensiero è libero di vagare.
40x47 circa