Capuzzo Silvia
Fotografie intime e immagini private trovate sui social network e su Google Maps si innestano l'una all'altra in stratificazioni di pittura organica. Farine e amidi, omogeneizzati alla pittura, si comportano sulla tela come gel fotografico, impressionando emanazioni luminose di storie diverse. La consistenza del ricordo personale si dissolve quindi non solo nelle masse opache e pastose, ma anche nelle forme indefinite dell’isolamento e del voyeurismo digitale. L’impressione fotografica rifugge la sospensione della possibilità di plasmare la materia di un corpo-mondo collettivo che non si è fatto improvvisamente estraneo soltanto nel febbraio del 2020. La sovrapposizione di ludico e grottesco diventano accesso all’alterità, modo per avvicinarsi a tutte le persone isolate della terra. In "Zoti", gli assistenti di un famoso e truffaldino conduttore di televendite srotolano un tappeto persiano. Nello stesso momento immagino Tommaso Landolfi scrivere "Ombre". Dal tappeto escono fiori, fantasmi e castagne: alla lentissima cristallizzazione degli amidi nell'olio di lino, nel tempo, sopravviveranno solo loro. Il tappeto e gli assistenti diventeranno sempre più bianchi e bianco è l'opposto dell'aggressione del tempo, che è invece polvere nera. La vita è più vera nella pittura e nella letteratura perché la relazione è con l’Altro, a cui non importa niente ma anzi esige la non cronaca, il non resoconto dei fatti.
Il pittore sa incastrare una bocca su qualsiasi cosa. Queste bocche, si sa, non avranno mai la capacità di raccontare davvero una storia: loro sanno solo mangiare. E mangiano tutto loro e difatti, i quadri devono assicurare un assoluto rimedio alla cellulite degli spettatori. Con una specie di attenta passività, il pittore deve riassumere una trama in una frase, se non in una parola. In un quadro, la composizione di un’immagine corrisponde al canovaccio della storia. Per quanto mi riguarda le storie sono sempre le stesse: la partita di calcio nella cantina maledetta che trasformò tutti i calciatori in prosciutti; i vecchioni che trovarono il tesoro misterioso di Krasnojarsk. Nel caso del lavoro che vi propongo, il commerciante italiano di tappeti cerca la dissuefazione dall'Oriente nelle castagne e nelle cipolle. In un equilibrio liquido, quando l’atmosfera viene evocata, stratificata in messe in scena alla prima - senza lasciare vuoti a fine giornata, perché nella realtà ciò è impossibile - i personaggi possono solo galleggiare e i gesti vengono troncati in dei moncherini. Non è questione fotografica: mi occupo di cultura occidentale e della rapidità. Nell’immediatezza, il patto tra il pittore e chiunque altro non si concilia con una stretta di mano, ma con una matassa di fili, con lo sversamento degli intenti. Nella rete, nell’isolamento, possiamo non avere esigenze naturali corporali, possiamo essere asettici, e il distaccamento che deriva dall’asetticità ha del sacro. Ma vediamo in realtà come il materiale visivo del tipo ipnotico stia crescendo senza misura e appunto nel mio lavoro questa consapevolezza detta le regole allegoriche del casting: ci sono strani pesci, denti, punture, scoperte adolescenziali. Da quando è nata la mia generazione San Sebastiano viene punto, non trafitto. Da più fastidio la puntura, perché insinua, non esplicita. Uccide, ma non racconta l’assassinio. Tutto è reiterazione tra l’onomatopeico e la verosimiglianza. Pere, seni e piccioni; lance, aghi, scale, gambe e zanzare. La pittura non rappresenta: presenta e basta, mettendo nelle condizioni di vivere senza capire. Al tempo stesso non temo, creando un’immagine riconoscibile, di svanire nel significato. Il mio lavoro è una ricerca visiva sui soggetti che si pongono a metà tra il solido e l'emanazione luminosa. La velatura diventa soggetto sintattico che insinua, agita l'atmosfera.
tecnica mista
tela
50 x 40 cm