Rizzonelli Filippo
òzio s. m. [dal lat. otium]. – 1. a. In genere, astensione dall’attività, dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o anche abitualmente, per indole pigra o indolente. b. Con senso attenuato e più obiettivo, inattività, inoperosità, anche non voluta (per mancanza di un lavoro, o perché costretti da altre cause). 2. Con sign. più vicini a quelli che il termine aveva in latino, dove otium era il tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici (cioè dai negotia), che poteva esser dedicato alle cure della casa, del podere, oppure agli studî (donde la parola passò a indicare gli studî stessi, l’attività letteraria): a. Periodo di quiete, di riposo, più o meno prolungato e gradito, che interrompe le abituali fatiche. b. fig., poet. Con riferimento alla natura, quiete, riposo. Questo dipinto è il risultato d’anni di lavoro inviluppati in loro stessi, intuizioni distillate una goccia alla volta, engrammi stratificati a tono su tono su di un supporto mobile. La sedimentazione di diversi interessi e di processi pregni d’inintenzionalità, liberamente e giocosamente tra loro assemblati e associati, è la cifra per cui è possibile finalmente accedere ad un paesaggio sentimentale e interiore dilatato nel tempo, precariamente e contestualmente presentato e proposto nello spazio di una cosa. L’immagine di primo acchito appare all’occhio coesa, ma nei dettagli ammicca e segnala tracce, lasciate da dubbi e scoperte lungo il cammino. Ho iniziato a dipingere L’ermetica agenza celata nell’ozio nel 2017, anche se – all’epoca – il dipinto sicuramente non ancora si chiamava così. Risolto in ultima battuta a luglio 2021, si è di lì a poco rivelato profetico: a inizio agosto mi sono rotto una caviglia saltando da un ponte in Trentino, rimanendo quindi bloccato a casa dei miei genitori per oltre due mesi, inutile e avvolto nel gesso. L’ozio è propedeutico alla sapienza, e si pone quindi su di un piano diverso rispetto a quello proprio dell’utilità delle idee: è immanente al reale e – se perseguito con disciplina – esonda e trasporta spesso seco persone, cose e affetti nelle oniriche radure incolte dell’imaginale. Hermes è il dio dei ladri, oltreché dei mercanti, ed a chiunque abbia buon orecchio sa quindi insegnare i segreti delle cose e delle loro agenze. Inutile dire che la pittura è figlia dell’ozio, e farmaco all’indolenza.
Attraverso un’idea di pittura espansa mi è possibile abitare l’enorme ed equivoco compromesso rappresentato dalla realtà, diluendo desideri, ambizioni e traumi tramite una prassi di (auto)coscienza critica, mediata con le possibilità trasformative donate e offerte dalla e alla materia. L’habitat contemporaneo, con le proprie implicite regole d’interdipendenza e adattamento forzato, è il contesto in cui e con cui il mio ricercare ubik incedendo incappa in intuizioni formali ed informali di diversa natura, inevitabilmente legate al nodo della sopravvivenza. Eppure, è proprio nelle pieghe recondite e nelle radici oscure che permettono l’inciampo – negli splendidi errori – che si cela l’intima profondità e bellezza d’un ricordo ricordato: mantice d’affetto capace di scaldarci e rincuorarci lungo il lunghissimo cammino. Dipingere significa allora ricercare una salvezza, ponendosi coscientemente in un processo di metamorfosi dove soggetto e oggetto tendono a confondersi, fino a farsi paesaggio di e per un’unica ma non univoca incoscienza, che sovrasta e determina le regole del mondo. Siamo gocce d’increato, sostanza imperfetta, in alambicco universale.
Tecnica mista su tela
Tela di cotone, legno, gesso, vernice acrilica, fungicida al verderame, colori ad olio, pennarelli, gessi, colla di coniglio e pigmenti.
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